19 Ago attività sportiva e scriminanti
Le cause di giustificazione o, cause oggettive di esclusione del reato, dette anche scriminanti o cause di liceità, sono particolari situazioni in presenza delle quali un fatto, che altrimenti sarebbe da considerarsi reato, tale non è perché la legge lo consente, lo impone o lo tollera (artt. 50 ss. c.p.) e trovano fondamento logico-giuridico sul principio di non contraddizione.
Le cause di giustificazione si distinguono in comuni e speciali.
Le scriminanti comuni, previste nella parte generale del codice e applicabili a tutti i reati con esse compatibili sono: il consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.), l’esercizio del diritto (art. 51 c.p.), l’adempimento del dovere (art. 51 c.p.), l’uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.), la legittima difesa (art. 52 c.p.), lo stato di necessità (art. 54 c.p.).
Le scriminanti speciali sono quelle previste per singole figure criminose, come ad esempio la reazione legittima agli atti arbitrari del pubblico ufficiale.
Le cause di giustificazione non codificate, infine, dette anche tacite o extra-legislative, assumono rilievo in virtù del ricorso al procedimento di applicazione analogica delle scriminanti codificate.
Tra le esimenti non codificate, le più importanti e discusse sono l’attività medico-chirurgica (per le lesioni provocate ai pazienti inevitabilmente durante gli interventi) e l’attività sportiva violenta (per le lesioni che involontariamente gli atleti si provocano durante le competizioni sportive).
Per quanto concerne la causa di giustificazione dell’attività sportiva, l’evoluzione giurisprudenziale ha, necessariamente, segnato il discrimine tra:
attività sportiva necessariamente violenta, in cui l’attività sportiva è causa efficiente ovvero condicio sine qua non di illeciti, perché la violenza è in re ipsa (ad es. la boxe);
attività sportiva a violenza eventuale, laddove, invece, il contatto fisico è possibile ma non necessario (come il calcio o il basket);
attività sportiva dove la violenza è alla radice esclusa proprio dalla tipologia di attività esercitata (nuoto, leggera).
Problematiche sorgono dalle prime due categorie per le quali occorre stabilire se e quando l’ordinamento consente di ritenere non punibili le offese provocate nell’esercizio dell’attività sportiva.
A tale scopo, la giurisprudenza ha, tra l’altro, coniato il cd. rischio consentito, quale scriminante atipica, segnando così il limite entro il quale l’attività sportiva pur determinando illeciti penali, non viola una fattispecie penale incriminatrice, perché si tratta di comportamenti connessi ad azioni di gioco che sono considerate normali nello svolgimento dell’azione sportiva stessa. Il superamento di detto limite comporta una responsabilità per dolo o colpa, perché esorbita dalla carica agonistica e sfocia nella lesione all’incolumità personale e all’integrità fisica.
Generalmente, in tema di lesioni cagionate nel contesto dello svolgimento di un’attività sportiva, allorquando venga posta a repentaglio coscientemente l’incolumità del giocatore, che legittimamente si attende dall’avversario un comportamento agonistico anche rude, ma non esorbitante dal dovere di lealtà fino a trasmodare nel disprezzo dell’altrui integrità fisica, si verifica il superamento del cd. rischio consentito, con il conseguente profilarsi della responsabilità per dolo o per colpa.
Ne discende che il fatto è doloso quando la gara sia solo l’occasione (o il pretesto) dell’azione volta a cagionare lesioni, mentre è colposo se innestato nello svolgimento dell’attività agonistica e discendente dalla violazione norme regolamentari. Pertanto, l’accertamento del rischio consentito è questione di fatto, da risolvere caso per caso.
In tema di cd. “illecito sportivo” l’autore dell’evento lesivo che sia stato rispettoso delle regole del gioco, del dovere di lealtà nei confronti dell’avversario e dell’integrità fisica di costui non sarà perseguibile penalmente in quanto non potrà dirsi superata la soglia di “rischio consentito”. Diversamente, allorché il giocatore violi volontariamente le regole del gioco disattendendo i doveri di lealtà verso l’avversario, il fatto non potrà rientrare nella causa di giustificazione, ma sarà penalmente perseguibile (Cass. V Sez. sent. n. 1951/2000).
Altresì, per quanto concerne la tematica delle lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva che implichi l’uso della forza fisica e il contrasto anche duro tra avversari, l’area del rischio consentito è delimitata dal rispetto delle regole tecniche del gioco, la violazione delle quali, peraltro, va valutata in concreto, con riferimento all’elemento psicologico dell’agente il cui comportamento può essere, pur nel travalicamento di quelle regole, la colposa, involontaria evoluzione dell’azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, la consapevole e dolosa intenzione di ledere l’avversario approfittando della circostanza del gioco (ad es. il fallo di gioco se è commesso durante una partita di calcio che abbia causato una grave lesione all’avversario può essere punito come reato sia a titolo di dolo che di semplice colpa – cfr. Cass. Sez. V sent. n.° 19473/2005).
Nell’ambito di lesioni colpose gravi verificatesi nel corso di competizione sportiva, la scriminante del consenso dell’avente diritto presuppone che il “rischio” di subire dette lesioni sia, dal partecipante ad essa, preventivato e dunque accettato, – in quanto l’illecito sportivo, presuppone la sussistenza del consenso dell’avente diritto ex art. 50, c.p., ricorrendo quando la condotta lesiva sia finalisticamente inserita nel contesto di una attività sportiva – sicché detta scriminante non è configurabile allorquando le caratteristiche amichevoli o amatoriali della competizione rendano non prevedibile la verificazione di lesioni superiori a quelle normalmente accettabili in tale contesto (cfr. Cass. Sez. V° Sent. n.° 44306/200).
Le elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali hanno, da tempo, definito i contorni della nozione di illecito sportivo, nozione che ricomprende tutti quei comportamenti che, pur sostanziando infrazioni delle regole che governano lo svolgimento di una certa disciplina agonistica, non sono penalmente perseguibili, neppure quando risultano pregiudizievoli per l’integrità fisica di un giocatore avversario, in quanto non superano la soglia del c.d. rischio consentito e che si tratta di un’area di non punibilità, la cui giustificazione teorica non può che essere individuata nella dinamica di una condizione scriminante. La Corte ha però precisato che il rispetto delle regole segna
il discrimine tra lecito ed illecito in chiave sportiva e che neppure in ipotesi di violazione di quelle norme, tale da configurare illecito sportivo, viene travalicata l’area del rischio consentito, ove la stessa violazione non sia volontaria, ma rappresenti, piuttosto, lo sviluppo fisiologico di un’azione di gioco. Il dolo ricorre quando la circostanza di gioco è solo l’occasione dell’azione volta a cagionare lesioni, sorretta dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica.
La Corte infine precisa che è evidente che risulta decisivo accertare se il fatto si sia o meno verificato nel corso di una tipica azione di gioco, in quanto in ipotesi alternativa ricorre sempre una fattispecie dolosa.
Quando, invece, la violazione delle regole avvenga nel corso di una ordinaria situazione di gioco, il fatto avrà natura colposa, in quanto la violazione consapevole è finalizzata non ad arrecare pregiudizi fisici all’avversario, ma al conseguimento, in forma illecita, e dunque anti-sportiva, di un determinato obiettivo agonistico, salva, ovviamente, la verifica in concreto che lo svolgimento di un’azione di gioco non sia stato altro che mero pretesto per arrecare, volontariamente, danni all’avversario.
Continuando, ancora in tema di cd. lesioni sportive, non è applicabile la previsione di eccesso colposo ex art. 55, c.p., in quanto la causa di giustificazione, cd. non codificata, dell’esercizio dell’attività sportiva presuppone che l’azione lesiva non integri infrazione di regola sportiva o comunque, laddove la integri, sia compatibile con la natura della disciplina sportiva praticata ed il contesto del suo svolgimento; in assenza della causa di giustificazione detta, il fatto di reato sarà doloso o colposo a seconda che la condotta sia connotata da volontà diretta a ledere l’incolumità dell’avversario o a preventiva accettazione del relativo rischio ovvero sia meramente colposa (cfr. Cass. Sez. V° Sent. n.° 17923/2009).
I giudici, nel decidere questi casi, hanno applicato il seguente principio: se la violazione della regola sportiva è lo sviluppo di un’azione destinata al raggiungimento del risultato sportivo, anche se provoca una lesione all’avversario, e purché la lesione non sia stata compiuta volontariamente, non c’è alcuna responsabilità penale.
La gamba è rotta, il giocatore è ammonito, ma la sua responsabilità resta circoscritta all’area di gioco. Ovviamente, non è sempre così: se la violazione della regola è stata voluta “con cieca indifferenza per l’altrui integrità fisica o, addirittura, con volontaria accettazione del rischio di pregiudicarla, allora, in caso di lesioni personali, si entra nell’area del penalmente rilevante”, con conseguente responsabilità e condanna di chi abbia causato le lesioni.
Non è l’entità del danno a far stabilire se l’azione illecita nello sport è tale anche per il diritto penale. È invece necessario stabilire se l’azione sportiva è stata compiuta potendosi prevedere il suo esito infausto. Se commetti un fallo prevedendo di poter danneggiare un avversario o se, per ottenere un risultato di gioco, esageri nel compiere una determinata azione provocando lesioni, allora – e solo allora – sei penalmente colpevole.
Ma se commetti il fatto, prevedendo il suo esito infausto, allora sei penalmente responsabile aldilà della violazione o meno del regolamento sportivo. In tal senso la Cassazione con sent. 3284/2022 con la quale ricusa la scriminante del rischio consentito alla luce della liceità tout court dell’attività sportiva stabilendo che se pratico uno sport di contatto, sono ragionevolmente consapevole che posso subire conseguenze fisiche spiacevoli. Questa consapevolezza, delineata dalle regole sportive, corrisponde al “rischio consentito” ed alla conseguente non punibilità penale di chi abbia causato un danno fisico all’avversario.