mandato d’arresto europeo

Il mandato d’arresto europeo (“MAE”) è un procedimento giudiziario semplificato di consegna ai fini dell’esercizio penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privativa della libertà. Un mandato emesso dalle autorità giudiziarie di uno Stato membro è valido in tutto il territorio dell’Unione europea. Esso è operativo dal 1° gennaio 2004 ed ha sostituito le lunghe procedure di estradizione tra gli Stati dell’UE. L’art. 1 della Decisione Quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell’Unione Europea del 13/06/2002, in materia di mandato di arresto europeo e di procedure di consegna tra Stati membri, detta la nozione di MAE; esso è la: “decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell’Unione Europea in vista dell’arresto di una persona, al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà personale”. Il meccanismo si basa sul principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie. Esso è operativo in tutti gli Stati UE ed opera mediante contatti diretti tra autorità giudiziarie. Quali sono le differenze rispetto alle procedure di estradizione tradizionali?
1.Termini rigorosi
Il paese in cui la persona è arrestata deve adottare la decisione finale sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo entro 60 giorni dall’arresto.
Se la persona arrestata acconsente alla consegna, la decisione è presa entro 10 giorni.
La persona ricercata deve essere consegnata il più rapidamente possibile a una data convenuta tra le autorità incaricate, al massimo entro 10 giorni dalla decisione finale relativa all’esecuzione del mandato d’arresto europeo.
2.Doppia incriminazione: il controllo non è più richiesto per 32 categorie di reati
Per 32 categorie di reati, non si procede a verificare che l’atto costituisca un reato in entrambi i paesi. L’unico requisito è che sia punibile con una pena edittale massima della reclusione di almeno tre anni nel paese che ha emesso il mandato. Per gli altri reati, l’arresto può essere subordinato alla condizione che l’atto costituisca un reato nel paese d’esecuzione.
3.Eliminazione del filtro politico.
La decisione di consegnare o meno una persona sulla base di un MAE rientra, infatti, in un iter esclusivamente giudiziario, competente essendo la Corte di Appello nel cui distretto l’imputato o il condannato ha la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui il provvedimento è ricevuto dall’Autorità giudiziaria; ove non possa esser determinata in tal modo, sarà competente la Corte di Appello di Roma; in caso di più MAE nei confronti di più persone con residenze, dimore o domicili diversi, la competenza spetterà alla Corte nel cui distretto vi sia il maggior numero di soggetti. Anche in questo caso, ove sia impossibile procedere in tal modo, la competenza spetterà alla Corte di Appello di Roma. Se, ancora, la persona sia stata arrestata, la competenza sarà in capo alla Corte di Appello del distretto nel quale è avvenuto l’arresto;
4.Consegna di propri cittadini
In linea di principio, gli Stati membri dell’UE non possono più rifiutare la consegna dei propri cittadini, a meno che assumano la competenza per l’azione penale o l’esecuzione della pena privativa della libertà nei confronti del ricercato.
5.Garanzie
Il paese che esegue il MAE può chiedere le seguenti garanzie:
a. dopo un certo periodo la persona avrà diritto a chiedere una revisione, nel caso in cui si sia trattato di una condanna all’ergastolo.
b. il ricercato può trascorrere il periodo di detenzione nel paese d’esecuzione, se si tratta di un cittadino o di un residente (abituale) in tale paese.
Motivi tassativi per rifiutare il MAE
Un paese può rifiutare la consegna della persona oggetto del mandato solo nel caso in cui si applichi uno dei seguenti motivi per il rifiuto obbligatorio o facoltativo:
Motivi obbligatori
•la persona è stata già giudicata per lo stesso reato (principio del ne bis in idem)
•minori (il soggetto non ha compiuto l’età prevista per la responsabilità penale nel paese d’esecuzione)
•amnistia (il paese d’esecuzione avrebbe potuto perseguire il soggetto e il reato è stato amnistiato in tale paese).
Motivi facoltativi – esempi:
•mancanza di doppia incriminazione per i reati che non siano compresi tra le 32 fattispecie penali di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della decisione quadro sul MAE
•giurisdizione territoriale
•procedura penale in corso nel paese dell’esecuzione
•prescrizione ecc.
Il procedimento passivo di consegna riguarda il caso nel quale ad emettere il MAE sia l’Autorità Giudiziaria di uno Stato estero membro (c.d. Stato emittente) nei confronti di un soggetto che si trovi sul territorio italiano. In questo caso ad eseguire l’arresto dovrà, pertanto, essere lo Stato italiano (c.d. Stato di esecuzione). Tale ipotesi è disciplinata dal Titolo II, Capo II della L. 22/04/2005, n. 69. Prima di descrivere nel dettaglio la procedura de qua, appare utile fare un breve accenno in merito ai principi sanciti negli artt. 1 e 2 di questa Legge.
Il legislatore ha previsto che il nostro Paese darà esecuzione al mandato d’arresto nel rispetto dei seguenti diritti e principi:
a. diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dei protocolli ad essa addizionali (art. 2, comma 1, lett. a);
b. principi costituzionali afferenti al giusto processo, compresi quelli relativi alla tutela della libertà personale, alla responsabilità penale ed alla qualità delle sanzioni penali (art. 2, comma 1, lett. b). In tale ottica, l’art. 2 prevede che l’Italia rifiuterà la consegna in caso di grave e persistente violazione, da parte dello Stato richiedente, dei principi ex art. 2, lett. a), constata dal Consiglio dell’Unione europea.
Importante ricordare anche che:
1. la garanzia cd. giurisdizionale (fissata dall’art. 5) in virtù della quale il nostro Paese potrà consegnare il soggetto solo previa decisione favorevole della Corte d’Appello;
2. il principio della doppia punibilità (contenuto nell’art. 7), in base al quale il MAE sarà eseguito solo se il fatto sia previsto come reato anche dalla legge italiana, eccezion fatta – oltre che dei casi di consegna obbligatoria – per quelli di cui al comma 2 del medesimo art. 7. Questo principio, infatti, non si applica nei casi in cui, in materia di tasse e imposte, di dogana e di cambio, la legge italiana non contenga lo stesso tipo di tassa o di disciplina. Tuttavia, dovrà trattarsi di tasse e imposte assimilabili per analogia a quelle previste dalla legge nostrana, per le quali sia prevista la sanzione della reclusione della durata massima, escluse le aggravanti, pari o superiore ad anni 3;
3. sempre in base all’art. 7, è richiesto che il fatto sia punito dalla legge dello Stato di emissione con una pena o una misura di sicurezza della durata massima non inferiore a dodici mesi, mentre, in caso di sentenza di condanna, la pena o la misura di sicurezza dovranno essere non inferiore a quattro mesi.
Venendo ora alla procedura di esecuzione passiva (artt. 9 e 10), l’Autorità Giudiziaria competente a dare esecuzione al MAE è la Corte di Appello, la quale dovrà verificare se il reato rientra fra quelli per i quali è prevista la consegna obbligatoria ex art. 8 (ovvero accertare quale sia la definizione dei reati oggetto del MAE e se essa corrisponda alle fattispecie ex comma 1 dell’art. 8).
Merita rilevare, peraltro, che, anche ove tale verifica desse esito positivo, ai sensi del comma 3 dell’art. 8, nel caso il fatto non sia previsto come reato dalla legge italiana, non si darà seguito alla consegna del cittadino italiano, se risulta che questi non era a conoscenza, senza propria colpa, della norma penale dello Stato membro di emissione oggetto del MAE.
La procedura può essere attivata in due modi diversi:
1. nel primo caso, la procedura ha inizio con la ricezione della richiesta di MAE da parte del Ministro della Giustizia che lo trasmette senza ritardo al Presidente della Corte di Appello competente, ex art. 5.
Il Presidente, a sua volta, ne dà immediata comunicazione al Procuratore Generale, procedendo agli adempimenti di sua competenza.
Lo stesso avviene anche nella eventualità il MAE gli sia stato trasmesso dall’Autorità dello Stato richiedente.
A quel punto, il Presidente riunisce la Corte di Appello che, sentito il Procuratore Generale, procede con ordinanza motivata, a pena di nullità, all’applicazione della misura coercitiva, ove ritenuta necessaria, tenendo conto in particolare l’esigenza di impedire che il ricercato si sottragga alla consegna.
Al riguardo, si osservano, per quanto applicabili, le disposizioni in materia di misure cautelari personali, fatta eccezione per gli artt. 273, commi 1 e 1-bis, 274, comma 1, lett. a) e c), e 280.
Infine, le misure coercitive non andranno disposte ove si ritengano sussistenti cause ostative alla consegna.
In questo caso, entro cinque giorni dall’esecuzione delle misure, ed alla presenza del difensore di fiducia o, in mancanza, di un difensore di ufficio nominato ex art. 97 c.p.p., il Presidente della Corte di Appello (o magistrato delegato) procede all’audizione della persona ricercata.
In tale occasione dovrà informare, fra l’altro, l’arrestato, in una lingua a lui conosciuta, del contenuto del MAE, della procedura di esecuzione, della facoltà di acconsentire alla propria consegna e di rinunciare al principio di specialità. Il difensore dovrà essere necessariamente presente ed avrà diritto ad essere avvisato almeno 24 ore prima (art. 10, comma 2, L. n. 69/2005).
Verrà, quindi, fissata l’udienza in camera di consiglio per la decisione entro il termine di 20 giorni dall’esecuzione della misura, con decreto da comunicarsi al Procuratore Generale e notificarsi alla persona richiesta di consegna ed al suo difensore, almeno 8 giorni prima della udienza. Si applica l’art. 702 c.p.p. .
2. Nel secondo caso, la procedura inizia con l’arresto provvisorio da parte della Polizia Giudiziaria, ex art. 11, L. n. 69/2005, a seguito di inserimento della segnalazione nel sistema di informazione (c.d. S.I.S.) di Schengen. In questo caso, è la polizia giudiziaria a procedere all’arresto della persona ponendola immediatamente e, comunque, non oltre le ventiquattro ore, a disposizione del Presidente della Corte di Appello nel cui distretto il provvedimento è stato eseguito, mediante trasmissione del relativo verbale di arresto e dandone immediata comunicazione al Ministero della Giustizia.
Il Ministro della Giustizia, a sua volta, comunica immediatamente l’avvenuto arresto allo Stato membro richiedente, ai fini della trasmissione del MAE e della documentazione di cui all’art. 6, commi 3 e 4, L. n. 69/2005. Diversamente da quanto accade con l’istituto dell’estradizione per il quale l’arresto da parte della Polizia Giudiziaria è demandato ad una valutazione discrezionale (art. 716 c.p.p.), nel caso di MAE l’arresto si configura come atto dovuto.
In questo caso, la polizia giudiziaria che ha proceduto all’arresto deve informare la persona, in una lingua a lui comprensibile, del MAE, consegnandole una comunicazione scritta che la informi della possibilità di acconsentire alla consegna, di nominare un difensore e del diritto a farsi assistere da un interprete. La stessa dovrà anche dare tempestivo avviso dell’arresto al difensore (commi 1 e 2, art. 12).
A pena di nullità, il verbale di arresto dovrà dare atto degli adempimenti di cui ai commi 1, 2 e 3, nonché degli accertamenti sulla identificazione dell’arrestato.
Entro quarantotto ore dalla ricezione del verbale, il Presidente della Corte di Appello o un Magistrato da lui delegato, informato il Procuratore Generale, provvede, in una lingua conosciuta dall’arrestato e, ove necessario, alla presenza dell’interprete, a sentirlo.
Se risulta evidente che l’arresto è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi previsti ex lege, il Presidente della Corte di Appello, o il Magistrato delegato, dispone con decreto motivato che il fermato sia rimesso in libertà (art. 13, comma 2).
Fuori da tale caso, il Presidente convaliderà l’arresto applicando la misura coercitiva, con ordinanza che perderà efficacia se, entro dieci giorni, non perviene il MAE e/o la segnalazione nel S.I.S. (acronimo che sta per Sistema di informazioni di Schengen).
Contro la decisione della Corte di Appello si può ricorrere in Cassazione. Legittimati a proporre ricorso per cassazione sono il Consegnato, il suo Difensore, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello.
Il ricorso:
a. deve essere proposto entro dieci giorni dalla conoscenza legale dei provvedimenti soprarichiamati;
b. può avere ad oggetto anche ragioni di merito;
c. ha effetto sospensivo dell’esecuzione della sentenza.
La Corte di cassazione decide entro quindici giorni dalla ricezione degli atti, nelle forme del rito camerale ex art. 127 c.p.p. In caso di annullamento con rinvio, il Giudice del rinvio dovrà decidere nel termine di venti giorni dalla ricezione degli atti (art. 22, L. n. 69/2005).
È utilizzata quando è l’Autorità giudiziaria italiana a chiedere ad uno Stato membro dell’Unione Europea la consegna di una persona:
– destinataria di una misura cautelare personale (custodia in carcere o arresti domiciliari);
– nei cui confronti debba essere eseguita una pena detentiva o una misura di sicurezza personale;
– che risieda, sia domiciliata o dimori in uno Stato membro dell’Unione Europea.
Segnatamente, il MAE può essere emesso:
a. dal Giudice che ha applicato la misura cautelare della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari – c.d. MAE processuale (art. 28, comma 1, lett. a);
b. dal Pubblico Ministero presso il Giudice indicato dall’art. 665 c.p.p. che ha emesso l’ordine di esecuzione della pena detentiva ex art. 656 c.p.p. sempre che si tratti di pena di durata non inferiore a un anno e che non operi la sospensione dell’esecuzione – c.d. MAE esecutivo (art. 28, comma 1, lett. b);
c. dal Pubblico Ministero, individuato ex art. 658 c.p.p. , per quanto attiene all’esecuzione di misure di sicurezza personali detentive.
Ove ritenga di doverlo emettere, l’Autorità competente ha due possibilità:
1. emettere il MAE se risulti che l’imputato o il condannato sia residente, domiciliato ovvero dimorante in uno Stato membro dell’Unione;
2. disporre l’inserimento di una specifica segnalazione (S.I.S.), a norma dell’art. 95 della Convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen, se risulti ignoto il luogo, ovvero sia solo possibile che il soggetto si trovi nel territorio di uno Stato membro. Ove il soggetto ricercato goda di immunità o altri benefici o privilegi riconosciuti da uno Stato diverso da quello di esecuzione, o da un organismo internazionale, l’Autorità dovrà inoltrare richiesta di revoca del privilegio o di esclusione dell’immunità.
Una volta emesso, il MAE è trasmesso al Ministro della Giustizia, che provvede, previa traduzione nella lingua dello Stato di esecuzione, alla sua trasmissione all’Autorità competente. Dell’emissione del MAE viene data immediata comunicazione al Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia.
Il MAE perde di efficacia allorquando il provvedimento restrittivo per il quale è stato emesso, è stato revocato o annullato, ovvero se dichiarato inefficace. In questo caso, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello, ne dà immediata comunicazione al Ministro della Giustizia, affinché questi ne informi lo Stato membro di esecuzione (art. 31, L. n. 69/2005).
Il Procuratore Generale può anche chiedere all’Autorità Giudiziaria dello Stato membro di esecuzione la consegna dei beni oggetto di sequestro o di confisca eventualmente emesso dal Giudice, trasmettendone copia. Analoga possibilità esiste anche in caso procedura passiva di consegna. In quest’ultimo caso, su richiesta dell’Autorità Giudiziaria che ha emesso il MAE, ovvero d’ufficio, la Corte d’Appello può disporre:
il sequestro dei beni necessari a fini di prova;
la confisca delle res che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato che siano nella disponibilità del ricercato.
La richiesta conterrà l’indicazione se la consegna risponda a fini di prova o di confisca (e, se manchi, la Corte chiederà al Procuratore Generale di volerla trasmettere).
In caso di richiesta, la Corte provvederà – sentito il Procuratore – con decreto motivato, applicando gli artt. 253, 254, 255, 256, 258, 259 e 260 commi 1 e 2, c.p.p.
Le cose saranno in concreto consegnate secondo le intese intervenute per il tramite del Ministro della giustizia. Se la consegna è a fini di prova, la Corte dispone che essa sia subordinata alla condizione che i beni siano restituiti, una volta soddisfatte le esigenze processuali. I beni sono consegnati anche in casi di decesso o fuga del ricercato. Sono sempre fatti salvi i diritti eventualmente acquisiti sui beni dallo Stato italiano o da terzi.
Se i beni di cui sia chieda il sequestro, siano già oggetto di sequestro disposto dall’Autorità Giudiziaria italiana nell’ambito di un procedimento penale in corso e di essi sia prevista la confisca, la consegna potrà esser disposta:
solo a fini probatori;
e previo nulla osta della Autorità Giudiziaria italiana procedente.
Lo stesso accade per l’eventualità che i beni siano oggetto di sequestro nell’ambito di un procedimento civile
Esso, riconosciuto alla persona sottoposta al procedimento di esecuzione di un mandato di arresto europeo (art. 10), sorge al momento dell’arresto eseguito in conformità del mandato (par. 1). È un principio “recepito” quello secondo il quale sin dal primo momento della privazione della libertà personale, occorre riconoscere il diritto all’assistenza tecnica. In tal senso, quindi, la Direttiva consolida e ribadisce quanto già ampiamente sedimentato in sede applicativa.
Al più, si potrebbe ragionare sulle eventuali conseguenze derivanti dal mancato riconoscimento. Il testo normativo tace sul punto. L’unica previsione di una qualche utilità, in proposito, è costituita dall’art. 12 della direttiva, il quale, in linea generale, si limita ad affermare che sarà obbligo degli Stati membri predisporre effettivi mezzi di ricorso per la tutela dei diritti riconosciuti dalla direttiva. Più problematico, invece, è il discorso ove si sposti lo sguardo su un altro versante. In sostanza, ci si domanda se la violazione, verificatasi in seno al procedimento di esecuzione del mandato di arresto, possa avere concrete ricadute all’interno del procedimento “a monte” nello Stato di emissione. Le soluzioni sul tappeto, astrattamente, potrebbero essere diverse. Sarebbe chiaramente irrealistico ipotizzare l’invalidità dell’ordinanza cautelare che dia impulso all’emissione del mandato di arresto (diversamente, in caso di mandato di arresto “esecutivo”, l’ineseguibilità della pena). Vi osta la basilare ed intuitiva esigenza di mantenere distinte due procedure che, per quanto interrelate, corrono su due binari differenti e che, fatte salve eccezionali previsioni normative, non tollerano interferenze di sorta. In senso contrario, si potrebbe sostenere che l’assenza del difensore, nella procedura passiva di consegna, si risolva in un grave pregiudizio a carico dell’interessato, ovvero l’impossibilità di vagliare la legittimità dell’arresto operato nello Stato di esecuzione; con la conseguenza che, non essendo stata offerta al prevenuto un’adeguata occasione di tutela, l’arresto medesimo e la successiva consegna dovrebbero ritenersi illegittimi. Impostazione suggestiva, ma che non convince: è arduo immaginare un sistema giudiziario “unico”, che preveda l’irradiazione di effetti caducatori ad un livello transnazionale. Non c’è dubbio: per espresso dettato della Direttiva, il diritto al difensore nella procedura summenzionata è finalizzato a garantire alle persone ricercate l’effettivo esercizio delle prerogative riconosciute nella Decisione quadro 2002/584/GAI; quindi, seppure in via eccezionale e secondo gli stretti limiti tracciati dal legislatore europeo, a dedurre le violazioni, poste in essere in seno allo Stato di emissione, che siano ostative all’esecuzione del mandato. Ma è altrettanto vero che, ragionando nei termini sopra esposti, si finirebbe per collidere con i principi di sistema: così congegnata, l’impostazione certamente si porrebbe in evidente contrasto con il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Insomma: se, da una parte, si afferma con vigore la garanzia del difensore, dall’altra, le conseguenze derivanti dalla possibile inosservanza rimangono esclusivamente confinate alla procedura di consegna. Ed è difficile, altresì, non scorgere nel testo normativo una netta contrapposizione: da un lato, vi è il mutuo riconoscimento che, lungi dal collocarsi nella dimensione di garanzia soggettiva, soccorre ad esigenze di natura oggettiva quali la repressione degli illeciti e la più proficua collaborazione giudiziaria fra gli Stati membri; dall’altro, si pone il dovere di assicurare in modo effettivo l’attuazione di una garanzia fondamentale. A tal punto, occorre valutare il dettato normativo con riferimento all’assistenza del difensore nello Stato di emissione. Era impensabile concepire il sorgere della garanzia difensiva prima della emissione del mandato d’arresto, pena il pericolo di vanificare ogni efficacia della misura, che prevalentemente si fonda sull’effetto a sorpresa della restrizione della libertà disposta a seguito dell’euromandato. Occorre, pertanto, ragionare su quanto stabilito al paragrafo quarto dell’art. 10 della Direttiva. Esso sancisce l’obbligo per lo Stato di esecuzione, immediatamente dopo l’arresto e senza indebito ritardo, di informare il prevenuto della possibilità di nominare un difensore nello Stato di emissione. Disposizione di indubbio rilievo, logicamente diretta a fornire al difensore nello Stato di esecuzione l’ausilio tecnico necessario per l’esercizio dei diritti connessi alla Decisione quadro 2002/584/GAI. Osservazione, peraltro, svolta dalla stessa Commissione in sede di lavori preparatori: essendo indubbio che il difensore dello Stato di emissione si trova in una posizione sicuramente più favorevole, sia per la raccolta delle necessarie informazioni sul fatto, sia per l’ovvia competenza tecnica sul diritto nazionale. Orbene, se chiara è la ratio insita nella previsione, va valutato se essa aggiunga un quid novi sotto il profilo del livello di tutela ad oggi assicurato. In altre parole: se la previsione contenuta nel paragrafo 4 dell’art. 10, oltre ad essere logicamente connessa all’esercizio dei diritti summenzionati, possa essere interpretata come una clausola che ponga diversi ed ulteriori presidi. In primo luogo: ove al ricercato non venga garantita l’assistenza del difensore nello Stato di emissione, come riconosciutogli dalla Direttiva, quali conseguenze si profilano all’interno della procedura di esecuzione? Ragioniamo col diritto interno (in un’ipotetica procedura passiva). In difetto di previsioni legislative in tema, il punto di partenza non può che essere dato dalle disposizioni generali in tema di nullità (artt. 177 ss. c.p.p.). Una prima ipotesi da esaminare è se sia invocabile l’art. 179 c.p.p., il quale sanziona con la nullità assoluta (rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento) la violazione delle disposizioni che sanciscono l’obbligatorietà della presenza del difensore. In alternativa, si potrebbe prospettare una nullità a regime intermedio (art. 180 c.p.p.): anche ove non si volesse far rientrare la violazione in commento in una vera e propria “assenza” del difensore, parrebbe configurarsi l’inosservanza di una norma posta a presidio dell’assistenza dell’imputato. A scanso di equivoci: va chiarito che si tratta di situazione differente da quella considerata nel precedente paragrafo, dove si ipotizzava che il difetto di assistenza difensiva, verificatosi nell’ambito del procedimento di consegna, potesse spiegare effetti caducatori nel procedimento “principale”. Qui lo scenario è diverso: il vizio si realizza all’interno della sola procedura passiva, e riguarda nello specifico la nomina del difensore nello Stato di emissione a seguito dell’arresto e dell’inizio della procedura di consegna nello Stato di esecuzione. Se così stanno le cose, non parrebbe del tutto infondata la sopra prospettata ricostruzione. Di conseguenza, l’arresto effettuato di iniziativa dalla polizia giudiziaria, ove non debitamente accompagnato dall’informativa in oggetto, dovrebbe considerarsi illegittimo e, pertanto, non dovrebbe essere convalidato; ove la violazione avesse un seguito nel corso della procedura di consegna, si potrebbe utilmente eccepire una nullità, secondo le cadenze del codice di rito. E si tratterebbe di una soluzione, in questo caso, in linea con lo stesso principio del mutuo riconoscimento. Invero, l’auspicata equivalenza delle decisioni giudiziarie presuppone sia una sostanziale omogeneità dei diritti tutelati, sia il riconoscimento effettivo, nella procedura posta in essere in uno Stato membro, di un apparato di garanzie funzionali al successivo esercizio dei diritti in un altro Stato membro. Un ulteriore problema, poi, è rappresentato dalla funzione cui debba adempiere il difensore nello Stato di emissione, eventualmente nominato a seguito dell’avviso ai sensi dell’art. 10 paragrafo 4: oltre a tutelare un più efficace esercizio dei diritti dell’arrestato nella procedura passiva di consegna, ci si può chiedere se la sua presenza sia volta ad assicurare una migliore tutela dell’imputato nel procedimento “a monte” (penale o di esecuzione della pena). Per chiarire: ipotizziamo che l’Italia sia lo Stato di emissione, e che un difensore venga quivi nominato dall’arrestato ai sensi del paragrafo 4 della Direttiva. La sua presenza, chiaramente, ha un duplice fine: fornire al difensore dello Stato di esecuzione tutto il supporto e l’ausilio tecnico necessari; assicurare, in seguito alla consegna, il più tempestivo ed efficace intervento nel procedimento “a monte”. Se così è, proprio allo scopo di preservare la possibilità di un successivo intervento dell’interessato nello Stato di emissione (questione non toccata dalla Direttiva), si potrebbe pensare all’introduzione di un meccanismo di sospensione dei termini relativi alla presentazione di impugnazioni cautelari (o di istanze in sede esecutiva) all’autorità giudiziaria. Si esemplifichi con il mandato di arresto “processuale”: se il termine per formulare richiesta di riesame (art. 309 c.p.p.) possa rimanere sospeso nelle more della procedura passiva di consegna, fino al suo esaurimento. Altrimenti, si potrebbe pensare ad un rimedio ex post: la possibilità che l’arrestato, a seguito di consegna, sia restituito nel termine per proporre impugnazione cautelare. Detto in altre parole: si tratterebbe di applicare in via analogica il contenuto dell’art. 4- bis della Decisione quadro 2002/584/GAI (come modificata dalla Decisione quadro 2009/299/GAI), che prevede per lo Stato di esecuzione un motivo facoltativo di rifiuto della consegna dell’arrestato condannato in absentia, salvo che questi, debitamente informato della possibilità di riaprire il processo, non eserciti i diritti ivi riconosciutigli. Si faccia attenzione: si tratterebbe di un’applicazione analogica, atteso che la previsione richiamata è riferita unicamente al mandato d’arresto “esecutivo”. Ragionando secondo i principi operanti nell’ordinamento italiano, il principio di tassatività delle impugnazioni lo impedirebbe. Si può anche osservare, però, che simili operazioni ermeneutiche non sono del tutto estranee alla giurisprudenza interna (si veda ad esempio la revisione Europea).