occultamento o distruzione di scritture contabili

il reato di occultamento o distruzione dei documenti contabili è previsto dall’art. 10 D.L.gs n.74/2000, il quale testualmente dispone che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a sette anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari”. Il bene giuridico oggetto della tutela penale del reato di occultamento di documenti contabili è l’interesse statale alla trasparenza fiscale del contribuente, dal momento che la norma incriminatrice sanziona l’obbligo di non sottrarre all’accertamento le scritture ed i documenti obbligatori. La condotta sanzionata dall’art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 consiste nella distruzione o nell’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo tale da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. A differenza della distruzione, che realizza un’ipotesi di reato istantaneo, il quale si consuma nel momento della soppressione della documentazione, al contrario, 2 l’occultamento – che si concreta nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente, che addiviene al proprio momento consumativo all’atto dell’ispezione e cioè nel momento in cui gli agenti chiedono di esaminare detta documentazione. L’art. 10 del D.Lgs. 74/2000 sanziona sia la distruzione delle scritture contabili, la quale, realizzandosi con l’eliminazione della documentazione mediante l’eliminazione del supporto cartaceo con cancellature o abrasioni, configura, come appena detto, un reato di natura istantanea, sia l’occultamento totale o parziale delle scritture medesime che, perdurando l’obbligo di esibizione finché dura il controllo da parte degli organi verificatori, dà luogo invece ad un reato di natura permanente; sicché, qualora la medesima documentazione venga dapprima occultata e successivamente distrutta, si configurerà il concorso materiale dei due reati. L’ipotesi delittuosa in commento costituisce un reato di pericolo concreto, nel senso che, qualora la distruzione o l’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione sia parziale, deve sussistere un rilevante grado di impossibilità di ricostruzione del reddito, mentre il totale occultamento di dette scritture, comportando l’impossibilità assoluta di ricostruire il reddito soggetto ad imposta, integra l’elemento materiale del reato in questione. Soggetto attivo del reato può essere “chiunque”. La fattispecie, invero, non si rivolge solo ed esclusivamente ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili; la norma incriminatrice, infatti, contempla altresì i “documenti” per i quali non è previsto un particolare regime contabile, di guisa che trattasi di reato comune. Per i soggetti diversi dal contribuente si pensi ad esempio a un dipendente o al consulente tenuti alla conservazione di documenti fiscali. Elemento soggettivo richiesto per l’integrazione del reato è il dolo specifico, dato dal fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occultando o distruggendo, in tutto o in parte, le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione. Si tratta di reato di pericolo concreto, non essendo necessario il verificarsi di un danno per l’Erario. Oggetto materiale della condotta sono le “scritture contabili” o i “documenti di cui è obbligatoria la conservazione” ai fini fiscali. Le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione comprendono non solo quelle formalmente istituite in ossequio a specifico dettato normativo, ma anche quelle obbligatorie in relazione alla natura e alle dimensioni dell’impresa (es. libro cassa, scritture di magazzino, scadenzario et similia) nonché la corrispondenza posta in essere nel corso dei singoli affari, il cui obbligo di conservazione deve farsi risalire all’art. 22, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973. Nel caso in cui l’imputato deduca che le scritture contabili siano detenute da terzi e, tuttavia, non esibisca un’attestazione rilasciata dai soggetti stessi recante la specificazione delle scritture in loro possesso ovvero i medesimi si oppongano all’accesso o non esibiscano in tutto o in parte detta documentazione, il giudice penale può trarre il convincimento della effettiva tenuta della contabilità da parte di terzi da prove, anche dichiarative, ulteriori e diverse dalla citata attestazione. La condotta deve determinare l’impossibilità di ricostruire i redditi o il volume d’affari. Il reato è considerato perfezionato nel momento in cui l’occultamento o la distruzione delle scritture contabili provocano, come effetto diretto, l’impossibilità di ricostruire la situazione reddituale o la ricostruzione del volume d’affari del contribuente. Il reato non si configura se è possibile ricostruire il reddito e il volume d’affari tramite la documentazione restante che venga esibita o rintracciata presso la sede del contribuente oppure presso il suo domicilio ovvero grazie alle comunicazioni fiscali che il contribuente stesso (dichiarazioni dei redditi, dichiarazioni IVA, bilanci depositati) ha fatto all’Amministrazione Finanziaria. A conclusione di questa sintetica disamina degli elementi essenziali del reato di occultamento o distruzione dei documenti contabili, si rammenta che l’incipit dell’art. 10 cit. recita “Salvo che il fatto costituisca più grave reato…”. La clausola di salvezza inserita nell’art. 10 del D.Lgs. 74/2000 serve ad escludere il concorso materiale tra l’illecito tributario e l’illecito fallimentare in tutti i casi in cui il “medesimo fatto” costituisca un più grave reato. Essa, infatti, stabilisce per legge la sussidiarietà tra la fattispecie tributaria meno grave (punita ora con la reclusione da tre a sei anni) e la fattispecie fallimentare più grave di bancarotta fraudolenta documentale (da tre a dieci anni di reclusione), nel senso che il reato tributario si applica solo in subordine, quando non è possibile configurare la bancarotta fraudolenta. Ebbene, la Cassazione, come prima accennato, è intervenuta con due recentissime pronunce per chiarire taluni profili controversi della fattispecie oggetto della presente trattazione. Più in dettaglio, con la sentenza n. 42913 del 21 settembre scorso, la S.C. ha stabilito che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 10 D.L.gs. 10 marzo 2000, n. 74, non è sufficiente un mero comportamento omissivo, ossia la omessa tenuta delle scritture contabili, ma è necessario un “quid pluris” a contenuto commissivo consistente nell’occultamento o nella distruzione dei documenti contabili la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per legge, comportando l’estensione alle ipotesi semplicemente omissive una violazione del principio di legalità e del divieto di analogia in malam partem, in spregio della funzione preventiva e punitiva della norma. Nel caso di specie, i giudici di legittimità prendono in esame l’ipotesi della fattura, la quale deve essere emessa in duplice esemplare e il rinvenimento di uno di essi presso il terzo destinatario dell’atto può far desumere che il mancato ritrovamento dell’altra copia presso l’emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento. Soffermandosi, poi, su tale ultima fattispecie, la Corte evidenzia che la condotta di occultamento comprende non solo l’ipotesi di scuola del nascondimento materiale, ma anche il caso della documentazione non dichiarata all’Erario e non indicata nei registri contabili, in tal modo occultandone l’esistenza al fisco. L’occultamento consiste, invero, nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori e si realizza mediante il nascondimento materiale del documento in maniera tale da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume degli affari. Né rileva l’appunto che mediante gli estratti conti societari sia possibile, se non persino agevole, ricostruire l’ammontare dei redditi, in quanto costituisce principio ormai granitico in giurisprudenza quello alla stregua del quale, in tema di reati tributari, il delitto di cui all’art. 10 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è integrato in tutti i casi in cui la distruzione o l’occultamento della documentazione contabile dell’impresa pregiudichi o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni, rimanendo escluso solo quando il risultato economico delle stesse possa essere accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore e sussistendo, al contrario quando è necessario procedere all’acquisizione presso terzi della documentazione mancante, essendo necessaria una ultronea attività investigativa come nel caso in disamina, in cui si sarebbe resa necessaria una ulteriore attività investigativa di accesso ai conti correnti bancari, per ricostruire l’ammontare del volume d’affari. Con la seconda pronuncia oggetto del presente commento (la sentenza n. 42288 del 27/09/2022), gli Ermellini, invece, perimetrano il campo operativo della fattispecie ex art. 10 D.Lgs 74/2000, chiarendo la portata applicativa della clausola di sussidiarietà situata all’incipit della norma di cui si discute. Per la Corte di Cassazione, dunque, la clausola restrittiva contenuta nell’art. 10 D.LGS. 74/2000, secondo cui la condotta di occultamento o distruzione delle scritture contabili o dei documenti, di cui è obbligatoria la conservazione, deve essere tale da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, è volta da un canto a circoscrivere la condotta tipica rapportando la suddetta impossibilità di ricostruzione alla sottrazione da parte del contribuente infedele delle scritture o dei documenti necessari all’accertamento e, dall’altro, a delineare il bene giuridico tutelato, ovverosia la trasparenza fiscale, intesa nella sua più ampia accezione di interesse al corretto esercizio della funzione pubblica di accertamento tributario. Ciò non si traduce nell’impossibilità in termini assoluti di procedere alla ricostruzione della gestione economica del contribuente per l’anno di imposta interessato, i cui elementi ben possono essere reperiti, attraverso gli strumenti di indagine a disposizione della Guardia di Finanza, anche aliunde (ad esempio mediante controlli incrociati presso i soggetti cui si riferiscono le medesime operazioni o presso i pubblici registri o facendo ricorso alla contabilità in nero), ma si riverbera ciò nondimeno sulla configurabilità del reato in ragione del rilievo che riveste, in concreto, l’offensività della condotta. Spettando al giudice accertare, in base a una valutazione comparativa della documentazione esistente e di quella mancante, se il contegno fraudolento del contribuente sia idoneo a mettere in pericolo la funzione probatoria dei cespiti imponibili che la legge assegna alla documentazione e alle scritture obbligatorie.