25 Nov pornografia minorile
Il concetto di pornografia minorile ha incontrato numerose problematiche in merito alla sua corretta definizione. Sono due i criteri da prendere in considerazione: il criterio soggettivo, legato all’impatto che ha la rappresentazione su chi viene in contatto con essa; e l’altro di natura oggettiva, legato, invece, al contenuto sessuale di tale rappresentazione.
Ebbene, è intervenuta la Corte di Cassazione nel 2004, che ha adottato una posizione intermedia tra quella soggettiva e quella oggettiva, affermando che: ‘‘la rappresentazione di natura pornografica dei minori deve essere individuata in base all’accertamento della destinazione della rappresentazione ad eccitare la sessualità altrui ed alla sua idoneità al raggiungimento di tale scopo, ponendo attenzione alla valutazione della natura erotica delle pose assunte o dei movimenti che esegue il minore’’.
Ai sensi dell’art. 3 della L. 3.8.1998, n. 269, intitolata ‘‘Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno ai minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù’’, sono stati delineati i reati di pornografia minorile presenti all’interno dell’art. 600-ter. L’art. 600-ter si compone in modo pressoché complesso, essendo caratterizzato da molteplici e diverse fattispecie:
- Il comma 1 integra la realizzazione di esibizioni o spettacoli pornografici con l’utilizzo dei minori; la produzione di materiale pornografico, utilizzando minori; il reclutamento o l’induzione di minori a partecipare ad esibizioni pornografiche; la percezione di altro profitto dai suddetti spettacoli.
- Il comma 2 prevede la commercializzazione del materiale pedopornografico indicato al comma 1.
- Il comma 3 fa riferimento alla distribuzione, divulgazione, diffusione e pubblicizzazione del materiale pedopornografico indicato al comma 1; la distribuzione e divulgazione di notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale dei minori.
- Il comma 4 si concretizza nell’offerta di materiale pornografico di cui al comma 1; la cessione, anche a titolo gratuito, di materiale pornografico di cui al comma 1.
- Il comma 6 punisce chi assiste a spettacoli pedopornografici.
Di particolare importanza è la suddivisione della tematica in due distinti interessi, dove il comma 1 fa riferimento alla protezione della personalità in divenire nella sua dimensione psico-fisica o morale, mentre le restanti fattispecie sono poste a tutela della dimensione esteriore, relazionale o sociale.
L’articolo 600-quater c.p., avente ad oggetto la ‘‘Detenzione o accesso a materiale pornografico’’, introdotto con la L. 3.8.1998, n. 269, e poi modificato dall’art. 3 della L. 6.2.2006, n. 38, sancisce: ‘‘Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 600-ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni’’.
Dunque, ci si è orientati verso l’interpretazione in base alla quale il legislatore non ha inteso tutelare come bene giuridico lo sviluppo della personalità psico-fisica del minore, ma l’attenzione sembra invece spostarsi sulla repressione della perversione sessuale del pedofilo, detentore di materiale pedopornografico, e come tale pericoloso per la società.
È indubbio, ormai, ritenere che la rete abbia dato un maggior accesso alle immagini sessualmente oscene, ivi compresa la pornografia minorile. Internet può essere interpretato come l’espressione più libera della manifestazione dei desideri sessuali della gente, permettendo tramite il cyberspazio di interfacciarsi con utenti aventi i medesimi interessi, andando a sua volta, a snellire, o meglio giustificare, quel senso di colpa che la società gli imputa. L’indeterminatezza del pubblico del mondo del Web ha incrementato il mercato della pedofilia permettendo nuovi, ma soprattutto diversi, terreni virtuali di divulgazione.
In merito all’ultima categoria si possono richiamare due operazioni molto importanti che hanno scoperchiato il vaso di pandora portando alla luce gli orrori del Web 4.0. La polizia postale di Milano e il C.N.C.P.O., il Centro Nazionale per il contrasto della pedopornografia online del servizio polizia postale di Roma, hanno identificato molteplice canali telegram e gruppi whatsapp, finalizzati alla condivisione di foto e video pedopornografici ritraenti vere e proprie violenze sui minori, molti dei quali erano delle associazioni a delinquere. L’anonimato che offrono le nuove applicazioni, che permette di celare la reale identità degli interessati, garantisce una maggiore sicurezza nell’acquisizione del materiale illecito. Il caso Casentino, partito da una apparentemente innocua chat whatsapp denominata ‘‘Capodanno 20k20’’ed il caso ‘‘Famiglie da abusi’’ esploso invece su Telegram, sono solo due dei moltissimi esempi della pericolosità del mercato pedopornografico, ormai sempre più dinamico e stratificato.
Il mondo dell’informatica non si limita soltanto alla condivisione del materiale in questione, ma ha adoperato altre strade di pari passo all’evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che espongono i minori a pericoli sempre più tangibili.
L’art. 600-quater.1 c.p., introdotto con l’art. 4 della L. 6.2.2006, n. 38, estende l’ambito di applicabilità dei fenomeni descritti negli artt. 600-ter e 600-quater c.p., applicando le stesse disposizioni anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse. Pertanto, quella dell’art. 600-quater.1 è disposizione a fattispecie plurime autonome ognuna delle quali dotata di una altrettanto autonoma cornice edittale di pena, desunta da quella prevista per la corrispondente fattispecie ad oggetto il materiale pornografico ‘‘reale’’ e poi corretta in diminuzione di un terzo ai sensi dell’ultima parte del comma 1 della norma in questione. Il concetto di ‘‘immagini virtuali’’ è definito all’interno del secondo comma, il quale fa riferimento alle tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali. Data la carente determinatezza di questo concetto, è utile integrarlo con le disposizioni di fonte sovranazionale. La pornografia virtuale minorile si può suddividere in tre sottoinsiemi: la pornografia apparente, riconducibile alla rappresentazione di adulti che, per caratteristiche fisiche e somatiche, sembrano minori, esclusa dall’ambito applicativo della norma in quanto basata sull’impiego di una persona fisica non minorenne; la pedopornografia parzialmente virtuale, che si riferisce ad immagini create artificialmente, come collage o fotomontaggi, sovrapponendo o accostando immagini del viso o di altre parti del corpo di un minore reale a parti anatomiche di un adulto, intento in attività sessuali (cd. morphing); la pornografia minorile totalmente virtuale, riguardante immagini in ogni loro aspetto artificiali che sembrano avere la predisposizione ad apparire reali. In merito all’ultima categoria sono state sollevate perplessità sulla sua qualificazione di delitto, ma il dubbio è stato inizialmente sciolto dalla Decisione quadro n. 2004/68/GAI, la quale includeva al suo interno anche il materiale pornografico ritraente minori inesistenti, estendendo per tale motivo l’area della punibilità fino a ricomprendere anche l’ipotesi di pornografia totalmente virtuale. La disciplina è stata successivamente rianalizzata e ritrattata con la Dir. 2011/92/UE, che ha accantonato il riferimento alle immagini di minori inesistenti, limitando in tal senso l’ambito di applicabilità della norma in esame.
Abbracciando l’interpretazione giurisprudenziale italiana, è opportuno citare la sentenza n. 59858/10 dell’11.11.2010 del Tribunale di Milano, anticipando l’interpretazione restrittiva offerta in ambito europeo. L’imputato in questione deteneva 6990 files rappresentanti materiale pedopornografico virtuale, il quale è stato catalogato in tre diverse tipologie:
- immagini e video bidimensionali o tridimensionali realizzati come disegni anche con la tecnica del cartone animato, immediatamente indicative di creazioni di fantasia;
- immagini tridimensionali rappresentanti soggetti minorenni non confondibili con persone reali;
- immagini tridimensionali realizzate con elevata qualità grafica che rappresenta figure umane plastiche e proporzionate di adulti e minori coinvolti in atti sessuali, dove alla sommità del corpo del minorenne era stata apposta l’immagine bidimensionale ritraente un minore realmente esistente.
L’unico punto ad essere stato preso in considerazione è il sub.3), poiché il prodotto finale ritrae una parte indiscutibilmente identificabile del minore, di conseguenza ledendo la sua reputazione sessuale. In senso contrario, gli altri due punti, sub.1) e sub.2), non sembrano riconducibili a situazioni realmente accadute, ordunque i minori non sono suscettibili di essere identificati nella realtà.
Nel 2017 però la Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. III, 13.1.2017, n. 22265) ha capovolto la linea esplicativa, qualificando come delittuose le immagini la cui qualità di rappresentazione faccia apparire come vere situazioni ed attività sessuali implicanti minori, che non hanno avuto alcuna corrispondenza con fatti della realtà. In questo contesto il minore è vittima di reati ancora più pericolosi, dal momento che tale materiale elargisce allo spettatore l’idea che sia una preda minorenne sottoposta all’attività sessuale, al fine di incrementare la propria o altrui pulsione sessuale.
La circolazione in Internet di un’opera che affianca il volto del minore ad un contesto pornografico integra il rischio di lesione della sua reputazione sessuale. La sua sistemazione permette di individuare l’interesse tutelato, rappresentato dalla onorabilità sessuale, che perfeziona l’idea in base alla quale il corretto sviluppo della personalità del minore avviene tanto in una dimensione interiore quanto esteriore.
Passando, in conclusione, all’analisi della fattispecie di reato ex art. 600-quater.1 c.p., l’elemento soggettivo richiede il carattere del dolo, comprendente sia la rappresentazione della natura pornografica del materiale, sia la consapevolezza dell’utilizzazione per il suo confezionamento di immagini ritraenti minori.
Per quanto attiene, invece, alla sua natura giuridica, i contorni appaiono essere quelli del pericolo astratto, in conseguenza del fatto che il materiale in questione sia idoneo ad incentivare quei comportamenti devianti, tali, a loro volta, da originare ulteriori condotte lesive della integrità fisico-psichica dei minori.
In conclusione, alla luce dell’evoluzione sempre più incisiva della tecnologia ed i numerosi dibattiti sulla corretta interpretazione dei vari scenari che si vengono a rappresentare, al fine di evitare ogni possibile restrizione del bene giuridico tutelato, la giurisprudenza della Suprema Corte si è orientata verso un’interpretazione estensiva dei fenomeni.
All’interno dell’ampia fattispecie della pornografia minorile virtuale, si affianca la pornografia domestica, la quale di recente ha portato alla luce degli spunti interessanti circa la sua interpretazione, con riferimento all’ambito tecnologico.
La pornografia domestica, termine indicante la produzione di contenuti o, più nello specifico, immagini sessualmente esplicite raffiguranti un minore da parte di chi con questi abbia intrapreso una relazione di natura affettiva intima, è stata al centro di numerosi dibattiti e modificazioni interpretative.
Pertanto, nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 51815 del 2018 si era escluso che nella pornografia domestica fosse presente quel carattere di strumentalizzazione o reificazione del minore ultraquattordicenne, al quale deve essere riconosciuto il diritto di esercitare la propria libertà sessuale anche attraverso riproduzioni video o fotografiche, qualora il materiale sia realizzato all’interno di un rapporto esente da condizionamenti e sia relegato ad un uso strettamente privato.
Successivamente, la Terza Sezione penale della Cassazione, con ordinanza del 22 aprile del 2021, sembra non condividere la precedente interpretazione,
sottolineando la differenza intercorrente tra una relazione interpersonale intima tra soggetti minori ed una invece intrapresa da un minore ed un adulto, nella quale difficilmente è classificabile come rapporto paritario. Allo stesso modo, viene ribadito come il consenso prestato dal minore in questione agli atti sessuali non si estende anche a quello per le conseguenti rappresentazioni digitali.
Con la sentenza del 28 ottobre 2021, n. 4616 le Sezioni Unite hanno avuto l’occasione di chiarire adeguatamente i confini entro i quali si configura la pornografia domestica. In primo luogo, determinano meglio la categoria del soggetto attivo, il quale deve risultare differente rispetto a quello passivo, con esclusione, per giunta, dei fenomeni di autoproduzione del materiale (es. il selfie). In secondo luogo, nell’accertamento dell’assenza di condizionamenti della volontà del minore, una particolare attenzione sarà richiesta nel caso in cui la relazione sia formata da un soggetto maggiorenne ed il minore rappresentato, verificando specificamente che l’adulto non abbai vinto le resistenze del minore inducendolo a superare le proprie riluttanze tramite tecniche di manipolazione psicologica e di seduzione affettiva. Infine, in nessun caso può essere attribuito al minore il consenso alla messa in circolazione del materiale a contenuto sessuale che lo riguardi, dal momento che deve escludersi che il soggetto in questione abbia raggiunto un livello di maturità tale da permettergli una valutazione valida e consapevole sulle eventuali conseguenze negative della mercificazione del suo corpo in seguito alla divulgazione delle immagini a sfondo sessuale che lo rappresentano.