22 Apr revisione del processo
La revisione è il principale mezzo di impugnazione straordinario, disciplinato agli artt. 629 e ss. c.p.p. , con cui si può incidere, sostanzialmente e tassativamente, sull’irrevocabilità del giudicato penale. Oggetto della richiesta di revisione è la sentenza di condanna, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 co. 2 c.p.p. ed il decreto penale di condanna, divenuti irrevocabili, anche se la pena è già stata eseguita o è estinta. La possibilità di sottoporre la sentenza di patteggiamento a revisione è stata oggetto di un notevole contrasto giurisprudenziale risolto inizialmente dalle Sezioni Unire, le quali hanno affermato l’inammissibilità di tale strumento, in quanto la sentenza non era fondata su un compiuto accertamento della responsabilità penale dell’imputato, così come invece avviene con una pronuncia di condanna. Tale contrasto, però, ormai è stato superato grazie all’intervento del legislatore con la l. 134 del 2003, che è andata a modificare il co. 1 dell’art. 629 c.p.p. indicando espressamente la sentenza di patteggiamento tra quelle per cui può essere richiesta la revisione. I soggetti legittimati alla richiesta di revisione sono, ex art. 632 c.p.p.:
- il condannato;
- un prossimo congiunto ex art. 307 comma 4 c.p. del condannato;
- il tutore del condannato;
- l’erede o il prossimo congiunto del condannato deceduto;
- il Procuratore generale della Corte d’appello nel cui distretto fu pronunciata la sentenza di merito poi passata in giudicato.
In caso di morte del condannato dopo che la richiesta di revisione è già stata presentata, il giudizio è proseguito da un curatore nominato dal Presidente della Corte d’appello. La richiesta di revisione è proposta personalmente o a mezzo di procuratore speciale ex art. 122 c.p.p. L’istanza deve indicare specificatamente le ragioni e le prove che la giustificano, ed essere presentata unitamente ad eventuali atti e documenti. Il giudice competente a decidere è la Corte d’appello individuata sulla base dell’art. 11 c.p.p. rispetto a quella corrispondente al distretto comprendente il giudice che ha emesso la sentenza di merito poi passata in giudicato; pertanto, la revisione non devolve la causa ad un giudice di competenza superiore. È un mezzo di impugnazione con effetto, di regola, non sospensivo. La revisione può essere richiesta nei casi espressamente indicati nell’art. 630 c.p.p., in queste ipotesi viene chiamata revisione “classica”, più recentemente, invece, in seguito ad una declaratoria di illegittimità costituzionale è stata introdotta la revisione c.d. europea.
I casi previsti espressamente dalla norma sono quelli indicati nelle lettere dell’art. 630 e sono i seguenti:
a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale: il c.d. conflitto di giudicati. Non possono farsi rientrare nella nozione di altra sentenza penale irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., il provvedimento di archiviazione (Cfr. Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 39191/2014), o la sentenza di patteggiamento (Cfr. Cass. Pen., sez. V, sentenza n. 34443/2015). Escludendo, quindi, i decreti penali di condanna, visto che, come le sentenze di patteggiamento, non presuppongono un accertamento pieno del fatto. Inoltre, non è presupposto di revisione la diversa interpretazione della norma penale in altra pronuncia dovuta a revirement giurisprudenziale (Cfr. Cass. Pen., sez. V, sentenza n. 19586/2010). L’inconciliabilità de qua non deve essere intesa come contraddittorietà logica tra le valutazioni delle decisioni in raffronto, bensì quale oggettiva incompatibilità tra i fatti fondanti le predette pronunce (Cfr. Cass. Pen., sez. V, sentenza n. 8419/2016).
b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall’art. 3 c.p.p., ovvero una delle questioni previste dall’art. 479 c.p.p. . Ciò avviene quando il giudice civile o amministrativo è intervenuto per risolvere una questione avente ad oggetto lo stato di famiglia, di cittadinanza o, comunque, una questione civile o amministrativa particolarmente complessa, alla cui soluzione il giudice penale si sia uniformato. È possibile la revisione in caso di condanna avente come presupposto lo status di fallito poi venuto meno con pronuncia giudiziale (Cfr. Cass. Pen., SS. UU., sentenza n. 19601/2008).
c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’art. 631 c.p.p. . Il carattere di “novità” della prova non trova difficoltà di applicazione per quelle sopravvenute dopo la condanna, nonché per quelle preesistenti ma scoperte successivamente. Per le prove preesistenti, dottrina e giurisprudenza affermano che possono sostenere la richiesta di revisione quando non sono state acquisite al processo per svariate ragioni, anche per negligenza, dolo o colpa grave. Ciò che è inammissibile è l’esclusiva diversa rivalutazione delle prove assunte nel precedente giudizio (art. 637 co. 3 c.p.p.), mentre è ammessa la rivalutazione congiuntamente a quelle nuove. Per prove nuove devono intendersi non solo le prove sopravvenute e quelle scoperte successivamente, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio oppure acquisite, ma non valutate, purché non dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e ciò indipendentemente dal fatto che l’omessa conoscenza sia imputabile a comportamento processuale negligente o doloso del condannato (Cfr. Cass. Pen., SS. UU., sentenza n. 624/2002). Tale ipotesi è applicabile anche per la revisione della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato (Cfr. Cass. Pen., sez. II, sentenza n. 18765/2018).
d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio, o di un altro fatto previsto dalla legge come reato. È necessaria una pronuncia passata in giudicato che attesti il reato in contrasto con il giudicato di condanna; il giudice della revisione può accertare in via incidentale tale condizione solamente nel caso in cui, in via principale, ciò non sia stato possibile per una causa estintiva (Cfr. Cass., Sez. V, sentenza n. 40169/2009).
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 113/2011, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo”. Introducendo, in tal modo, la c.d. revisione europea. Gli elementi in base ai quali viene proposta la revisione devono essere tali da dimostrare che il condannato debba essere prosciolto ai sensi degli artt. 529, 530 e 531 c.p.p., vale a dire che debba essere emessa sentenza di non doversi procedere per mancanza di una condizione di procedibilità o per estinzione del reato o di assoluzione, anche quando sia insufficiente, contraddittoria o dubbia la prova (Cfr. Cass. Pen., sez. V, sentenza n. 14255/2013). In caso di patteggiamento il parametro di riferimento deve essere solo il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (Cfr. Cass. Pen., sez. V, sentenza n. 34443/2015).
La richiesta di revisione deve contenere l’indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano e deve essere presentata, unitamente ad eventuali atti e documenti, nella cancelleria della Corte di Appello individuata ai sensi dell’art. 11 c.p.p. Nei casi di cui alle lett. a), b) e d) la revisione dovrà necessariamente essere accompagnata dalle copie autentiche delle sentenze o dei decreti penali. La valutazione sull’ammissibilità dell’istanza, oltre al profilo dell’osservanza dei presupposti di legge, concerne il giudizio sulla non manifesta infondatezza degli elementi addotti, incidente i caratteri di novità, congruenza e affidabilità degli elementi de quibus (Cfr. Cass. Pen., sez. I, sentenza n. 6186/1996). In puncto non esiste un onere di richiesta di parere preventivo al Procuratore generale da parte della Corte d’appello, ma qualora ciò sia irritualmente acquisito, a pena di nullità deve essere comunicata la risposta al richiedente privato; questo al fine di instaurare un corretto contraddittorio (Cfr. Cass. Pen., SS. UU., sentenza n. 15189/2012). Nulla esclude l’adozione della declaratoria de qua, per i medesimi motivi, con la sentenza conclusiva del giudizio di revisione, una volta che questo sia stato disposto (Cfr. Cass. Pen., SS. UU., sentenza n. 624/2002). L’ordinanza d’inammissibilità è notificata al condannato e al richiedente, i quali possono ricorrere per Cassazione. In caso di accoglimento del ricorso, la Corte di Cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra Corte d’appello individuata secondo i criteri di cui all’art. 11 c.p.p.
La Corte d’appello richiesta può in qualunque momento disporre, con ordinanza, la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, applicando eventualmente una misura coercitiva cautelare personale diversa dalla carcerazione. In caso di inosservanza della misura, la Corte d’appello revoca la stessa, e ripristina l’esecuzione della pena. I suddetti provvedimenti sono ricorribili per Cassazione. In caso di rigetto in giudizio della richiesta di revisione, l’eventuale sospensione dell’esecuzione viene meno. Il giudizio vero e proprio, instaurato a seguito del decreto di citazione del Presidente della Corte di Appello competente, è disciplinato dalle norme relative agli atti preliminari e al dibattimento di primo grado, richiamate in quanto applicabili; presupposto dell’instaurazione è la non ritenuta inammissibilità della domanda. La natura del mezzo d’impugnazione de quo non consente alla Corte di Appello di esorbitare i limiti di accertamento e assunzione di prove legati alle ragioni della richiesta. La sentenza è deliberata secondo le disposizioni degli artt. 525, 526, 527, 528 c.p.p. In caso d’accoglimento, abbiamo la revoca del provvedimento oggetto di revisione, con pronuncia di sentenza di proscioglimento, oppure, nel solo caso ex C. Cost. sentenza n. 113 del 2011, alternativamente di proscioglimento, confermativa, o (solo) maggiormente favorevole. La sentenza di revisione è ricorribile per Cassazione. L’ordinanza d’inammissibilità, o la sentenza che rigetta la richiesta di revisione, non pregiudicano il diritto di presentare ulteriori istanze, purché innovative, ma comportano la condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie lato sensu. La Corte d’appello, in caso di proscioglimento, ordina la restituzione delle somme pagate e dei beni confiscati ex art. 639 c.p.p. Diverso è il procedimento di riparazione dell’errore giudiziario che segue la disciplina di cui agli artt. 643 e ss. c.p.p.