riciclaggio ed autoriciclaggio

Tra i reati contro il patrimonio più comuni sono inclusi il riciclaggio e l’autoriciclaggio – due termini estremamente simili che potrebbero portare ad un’erronea sovrapposizione, specialmente perché posti in posizioni attigue anche nel Codice Penale italiano.
In realtà, essi fanno riferimento a due fattispecie di reato ben diverse, che cercheremo di evidenziare in modo chiaro e a titolo informativo in questo breve approfondimento, al fine di evitare possibili confusioni interpretative.
Il reato di riciclaggio può essere definito come tutto l’insieme di operazioni condotte al fine di “lavare” denaro, beni o altre utilità ottenute in modo illecito così da far perdere ogni traccia della loro origine delittuosa.
Si tratta di un delitto previsto e disciplinato dal Codice Penale italiano (art. 648-bis) e punisce coloro che “ripuliscono” il denaro, i beni o le altre utilità di cui sopra in modo da ostacolare l’identificazione della loro reale provenienza.
Tra gli esempi tipici di riciclaggio figurano il versamento sul conto corrente di assegni risultato di truffe oppure lo spostamento di un bene rubato in territorio estero extracomunitario, dove verrà ricollocato sul mercato. Ecco quindi che ci troviamo di fronte a una condotta delittuosa che, attraverso l’investimento di beni o capitali provenienti da attività illecite, provvede alla loro trasformazione in beni o capitali apparentemente (e nuovamente) leciti.
È anche importante ricordare che il reato di riciclaggio si compone di alcune condotte tipiche, come evidenziato dall’articolo 648-bis del Codice Penale:
• Sostituzione: i proventi illeciti vengono scambiati o trasformati, come ad esempio nel caso di acquisto di preziosi ottenuti attraverso un furto.
• Trasferimento: è da intendersi come traslazione giuridicamente apprezzabile tra diversi soggetti; per esempio nel caso di cambiamento di intestazione di un titolo, un veicolo o un immobile.
• Altre operazioni: intese come tutte le condotte mirate a rendere impossibile l’identificazione della reale provenienza del denaro o del bene.
Il Codice Penale punisce i responsabili del delitto di riciclaggio con la multa da 5000 a 25.000 euro e con la reclusione dai quattro fino ai dodici anni. Queste pene possono inoltre essere inasprite laddove il reato venga commesso nel contesto di un’attività professionale.
L’autoriciclaggio viene definito come l’attività illecita finalizzata a dissimulare in modo concreto beni o proventi ottenuti illegalmente, così da rendere impossibile rintracciarli – o quantomeno collegarli alle eventuali attività criminali da cui provengono.
Di primo acchito, sembrerebbe in tutto e per tutto una descrizione identica a quella relativa al riciclaggio. In realtà, esiste tra queste due fattispecie di reato una differenza sottile ma sostanziale: nel caso dell’autoriciclaggio, l’individuo che ricicla è infatti anche l’autore del delitto dal quale i beni o il denaro provengono.
Inoltre, il reato di autoriciclaggio è stato introdotto nella legislazione italiana in tempi molto più recenti rispetto al riciclaggio, e nello specifico con la Legge 186 del 15 dicembre 2014 (“Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio”). L’obiettivo, come è facile intuire, è quello di sanzionare chi auto-ricicla i proventi ottenuti dalle attività delittuose che ha direttamente condotto.
Per quanto riguarda le pene previste, si farà riferimento dal punto di vista normativo all’articolo 648-ter 1 del Codice Penale che così stabilisce al primo comma: “Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.”
L’eccezione alla punibilità è legata all’eventuale impiego dei beni per mero godimento personale, poiché in tal modo va a decadere il loro riutilizzo al fine di ostacolarne l’individuazione.
Come già evidenziato, la principale similitudine consiste nelle attività di “pulizia” del bene ottenuto illegalmente al fine di renderne complesso – se non addirittura impossibile – il collegamento con il reato che lo ha originato. I beni giuridici oggetto delle attività di riciclaggio sono quindi i medesimi delle operazioni dell’autoriciclaggio, così come l’elemento oggettivo.
La sostanziale differenza è invece relativa all’autore della condotta: nel caso dell’autoriciclaggio, questo è infatti la persona che commette il reato, ricava soldi o beni in conseguenza della sua condotta delittuosa, e procede poi a “ripulirli” (per esempio reinvestendo economicamente una somma di denaro, oppure intestando un bene ad altro soggetto).
Nel caso del riciclaggio, invece, l’autore del reato-presupposto – ossia l’azione criminosa che è, di fatto, la conditio sine qua non perché venga poi commesso il reato di riciclaggio – e colui che si adopera per evitare che il bene o il denaro così ottenuto possano essere rintracciati o ricondotti all’attività illecita sono due individui diversi.