ricorso per Cassazione

Il ricorso per cassazione è un mezzo di impugnazione ordinario, vale a dire proponibile esclusivamente avverso una sentenza che non sia divenuta definitiva, a critica vincolata, in quanto sono tassativamente indicati dal Legislatore i motivi deducibili, consistenti in specifici errores in procedendo o in iudicando, parzialmente devolutivo, in quanto la Corte conosce del procedimento limitatamente ai motivi proposti, sospensivo, perché sospende gli effetti del provvedimento impugnato. Il ricorso per cassazione è indirizzato a un organo unico, la Corte di cassazione, con sede in Roma e giurisdizione su tutto il territorio della Repubblica, per sollecitare l’annullamento, con o senza rinvio, della decisione emessa nei gradi di merito. La disciplina del ricorso per cassazione è specificamente contenuta nel titolo III del Libro IX del codice di procedura penale agli articoli 606 – 628 c.p.p.
Il ricorso per cassazione, a differenza dell’appello, può essere proposto, a pena di inammissibilità (art. 606 comma 3 c.p.p.) solo per i motivi predeterminati dall’art. 606 c.p.p., suscettivi di essere ripartiti in due sottocategorie: gli errori nella decisione, cui sono riconducibili i motivi previsti dalle lettere a e b dell’art. 606 c.p.p. e che sono gli errori commessi nell’applicazione delle norme di diritto sostanziale; gli errori nel procedimento, fra i quali vanno annoverati i motivi delle lettere c, d ed e, e che sono gli errori nell’applicazione delle norme processuali. Più specificamente, il ricorso per cassazione può essere proposto per i seguenti motivi: a) esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri: è l’ipotesi c.d. di eccesso di potere, nel senso di straripamento dal medesimo, che si articola nelle tre sottoipotesi di a1) usurpazione di una funzione legislativa (che si ha, ad esempio, nel caso in cui il giudice per analogia crei una nuova disposizione normativa condannando per un fatto non previsto dalla legge come reato); a2) usurpazione di una funzione amministrativa (che si verifica, ad esempio, il giudice annulla un atto amministrativo ritenuto non conforme); a3) esercizio di una potestà non consentita ai pubblici poteri (che ricorre quando, ad esempio, il giudice si occupa di una questione riguardante un ordinamento diverso da quello italiano); b) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale: è l’ipotesi in cui il giudice non faccia buon governo della disciplina penalistica sostanziale (ad es., qualificando rapina un’ipotesi di furto con destrezza) ovvero di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della disciplina penalistica sostanziale (ad es. la normativa sulla proprietà per qualificare un’ipotesi di furto). L’endiadi “inosservanza o erronea applicazione”, pur riferendosi unitariamente al fenomeno della violazione della legge sostanziale, distingue l’ipotesi della mancata applicazione della legge dall’ipotesi dell’applicazione inficiata da errore, nell’un caso e nell’altro avendo riguardo alle premesse normative della decisione di merito. c) inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza: è l’ipotesi in cui l’errore del giudice ricada sulle disposizioni di rito che delineano le patologie degli atti processuali; in tal caso il giudice di legittimità può accedere all’esame diretto degli stessi per risolvere la questione sottoposta al suo giudizio quale giudice anche del fatto (c.d. cognitio facti ex actis). Mette conto di evidenziare come il catalogo delle cause di invalidità dell’atto processuale di cui alla lettera c dell’art. 606 c.p.p., per un verso, escluda la deducibilità della mera irregolarità dell’atto (si pensi, ad es., all’inosservanza dei criteri di valutazione della prova indiziaria ex art. 192 comma 2 c.p.p.) per altro verso, non contempli l’inesistenza e l’abnormità che invece integrano forme di invalidità dell’atto processuale non codificate la cui positiva individuazione si deve all’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Rispetto a tale caso di ricorso mette conto di rilevare che l’atto affetto dal vizio denunciato deve essere contenuto nel fascicolo processuale o prodotto dal ricorrente nel giudizio di legittimità per il principio di autosufficienza del ricorso nel senso che il ricorso deve essere accompagnato, a pena di inammissibilità per genericità, dalla integrale produzione degli atti affetti dai vizi denunciati. d) mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell’istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall’articolo 495, comma 2 c.p.p.: si tratta dell’ipotesi in cui la prova pretermessa, legittimamente richiesta dalle parti, limitatamente ai casi dell’art. 495 comma 2 c.p.p. (che disciplina il c.d. diritto alla controprova), potendo determinare una decisione diversa, abbia inciso sulla valutazione del fatto. Deve trattarsi, pertanto, di una controprova, cioè di una prova a discarico chiesta dall’imputato sui fatti costituenti oggetto della prova a carico o di una prova a carico richiesta dal pubblico ministero sui fatti oggetto di prove a discarico. La dottrina ha criticato la limitazione dell’operatività della disposizione de qua alla sola prova contraria3, mentre la giurisprudenza ha interpretato restrittivamente la locuzione in questione escludendo l’ammissibilità del ricorso con riferimento ai mezzi di ricerca della prova, alle prove neutre (si pensi, ad es., al confronto o alla ricognizione), alla prova documentale richiesta dalla parte ma non in possesso di questa, e ancora, nei casi in cui non vi sia coincidenza tra il ricorrente e la parte che aveva richiesto l’acquisizione della prova, nei casi in cui la richiesta di prova non sia stata avanzata nel dibattimento di primo grado bensì, ad es., nell’ambito del procedimento di archiviazione. Il vizio in questione può essere denunciato in sede di legittimità a prescindere dal momento in cui è stata presentata la richiesta probatoria nel corso del dibattimento. e) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame: è l’ipotesi del c.d. vizio di motivazione nel quale rientrano oltre che la carenza della motivazione nel senso di incompletezza, ossia come mancanza di singoli momenti esplicativi5 (la mancanza fisica della motivazione dà luogo, infatti, a una nullità assoluta deducibile ex art. 606 lett. c), il caso della motivazione apparente (nell’un caso e nell’altro si parla di mancanza), quello del difetto di coerenza interna degli argomenti esposti (manifesta illogicità) e, infine, quello del contrasto tra motivazione e dispositivo e tra diverse parti della motivazione (contraddittorietà): a riguardo la Corte di cassazione ha precisato che la previsione tassativa dei possibili motivi di ricorso, operata dall’art. 606 c.p.p. implica una modulazione particolarmente rigorosa e pregnante del requisito di specificità, che assume immediato rilievo con riferimento precipuo ai vizi della motivazione: ed invero, i vizi di mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sono tra loro eterogenei e incompatibili in quanto si pongono in rapporto di reciproca esclusione (se la motivazione manca non può essere illogica e contraddittoria e viceversa), con la conseguenza che non possono sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento dell’argomentazione che sorregge la decisione. Il vizio di motivazione è deducibile, non solo quando risulta dal testo del provvedimento impugnato, ma anche quando risulta da altri atti del processo che il ricorrente ha l’onere di indicare specificante nei motivi di gravame e allegare per il già richiamato principio di autosufficienza del ricorso. La riforma dell’art. 606 in parte qua, ad opera della legge 46/2006, ha avuto il merito di rendere sindacabili in sede di legittimità l’omessa valutazione della prova e il travisamento della prova, la cui previsione, nell’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, “ha la funzione di rimediare a errori commessi da parte di quest’ultimo (il giudice di merito, ndr) nel considerare una prova in realtà inesistente o nell’omettere una prova presente nel compendio processuale, purché l’errore sia in grado di disarticolare il costrutto argomentativo della sentenza impugnata per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati e abbia comunque un oggetto definito e non opinabile. A differenza dell’appello, che non ha copertura costituzionale, il ricorso per cassazione è mezzo di impugnazione previsto dalla Costituzione, nell’art. 111, nei confronti delle sentenze e dei provvedimenti sulla libertà personale, indifferentemente pronunciati dagli organi ordinari o speciali. Fuori dall’alveo dell’incidenza sulla libertà personale, il ricorso è comunque ammesso avverso le sentenze pronunciate in grado di appello o inappellabili (art. 606 comma 2 c.p.p.) nonché avverso le sentenze d’appello per reati di competenza del giudice di pace, limitatamente in questo caso alla indicazione di motivi di cui alle lettere a b e c; avverso le sentenze di patteggiamento nei soli casi di: illegalità della pena o della misura di sicurezza, vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica dei fatti (cfr. art. 448 comma 2 bis introdotto dalla legge 103/2017) Il ricorso non è ammesso e, se proposto, viene dichiarato inammissibile quando deduca: • motivi diversi da quelli consentiti dalla legge, cioè quelli indicati dalle lettere a, b, c, d ed e dell’art. 606 (tassatività dei motivi di ricorso); • motivi manifestamente infondati, ovvero evincibili dalla mera lettura del ricorso, come per es. la violazione di un termine ordinatorio; • violazioni di legge non dedotte coi motivi d’appello fatta eccezione per i casi di ricorso per saltum (ricorso immediato in cassazione) e per le questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado o che non sia stato possibile dedurre con i motivi d’appello (per es. nullità verificatesi in grado di appello o ius superveniens). In presenza di un ricorso inammissibile non è possibile applicare l’art. 129 c.p.p. vale a dire prosciogliere l’imputato per ragioni di rito, di merito o per cause estintive. Sotto il profilo della ricorribilità soggettiva, fermo restando il principio dell’interesse a ricorre e le disposizioni generali sulle impugnazioni, l’imputato può ricorrere per cassazione contro la sentenza di condanna o di proscioglimento ovvero contro la sentenza inappellabile di non luogo a procedere nonché contro le disposizioni della sentenza che riguardano le spese processuali (art. 607 c.p.p.) mentre il Procuratore generale presso la Corte di appello può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento pronunciata in grado di appello o inappellabile; il Procuratore della Repubblica presso il tribunale può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza inappellabile, di condanna o di proscioglimento, pronunciata dalla Corte di Assise, dal tribunale o dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale. Il Procuratore generale e il Procuratore della Repubblica presso il tribunale possono anche ricorrere nei casi previsti dall’articolo 569 c.p.p. e da altre disposizioni di legge. Una novità, prevista dal comma 1-bis dell’art. 608 (introdotto dall’art. 1 comma 69 della legge 103 del 2017) è rappresentata dal limite al potere di impugnazione della pubblica accusa nel caso di doppia conforme di assoluzione: in tal caso il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 c.p.p., vale a dire solo per violazione di legge: la ratio è da ricercare nella verosimiglianza delle conclusioni raggiunte nei due gradi di giudizio in ordine all’esclusione della responsabilità dell’imputato qualora la ricostruzione del fatto da parte dei giudici di merito sia conforme. Per quanto riguarda le altre parti processuali, il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria possono ricorrere in cassazione con gli stessi mezzi che a legge attribuisce all’imputato (art. 575 c.p.p.) mentre la parte civile e il querelante condannato alle spese con gli stessi mezzi che la legge riconosce al PM. (art. 576 c.p.p.)