28 Set sospensione del processo con messa alla prova
La sospensione del processo con messa alla prova è una modalità alternativa di definizione del processo, attivabile sin dalla fase delle indagini preliminari, mediante la quale è possibile pervenire ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, laddove il periodo di prova cui acceda l’indagato / imputato, ammesso dal Giudice in presenza di determinati presupposti normativi, si concluda con esito positivo. La sospensione del processo con messa alla prova, entrata in vigore nel 2014, è una modalità alternativa di definizione del processo, attivabile sin dalla fase delle indagini preliminari, mediante la quale è possibile pervenire ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, laddove il periodo di prova cui acceda l’indagato / imputato, ammesso dal Giudice in presenza di determinati presupposti normativi, si concluda con esito positivo. Si tratta di un istituto che ha natura consensuale e funzione di riparazione sociale e individuale del torto connesso alla consumazione del reato: con tale connotazione, giustificandosi le tensioni con il principio di presunzione di non colpevolezza, palesate dall’anticipazione alla fase processuale, e addirittura procedimentale, delle conseguenze di un riconoscimento di responsabilità. Conosciuto già dall’ordinamento processuale italiano, in ambito minorile e in fase di esecuzione nel procedimento per adulti, l’istituto in questione è stato esteso con la legge sopraindicata al rito nei confronti delle persone maggiori di età per ovviare alle criticità del sistema penale, riconducibili sostanzialmente all’inflazione procedimentale e al sovraffolamento carcerario. Con riferimento a quest’ultimo si è, in particolare, inteso fornire una risposta concreta alle aspettative europee circa la necessità di riformare il sistema sanzionatorio, incentrato sulla detenzione inframuraria, risposta resa più urgente dalla condanna inflitta all’Italia nel caso Torreggiani contro Italia dell’8.1.2013. Ai fini dell’ammissione dell’istituto il legislatore ha previsto requisiti formali, a tutela della volontarietà della scelta, e presupposti applicativi sia di natura oggettiva sia di natura soggettiva, che sottendono valutazioni di compatibilità dei reati o delle tipologie di delinquenza con l’istituto in questione.
In particolare, quanto ai primi, occorre che la richiesta sia formulata dall’indagato/imputato, oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, con sottoscrizione autenticata in caso di conferimento della procura speciale: laratiodella procura speciale si rinviene evidentemente nella necessità, in capo all’indagato/imputato, di consapevolezza dei contenuti afflittivi della prova e della mancanza di un accertamento nel merito della responsabilità. La richiesta in questione deve essere corredata di un programma di trattamento elaborato dall’Ufficio esecuzione penale esterna competente per territorio, ovvero da un’istanza rivolta al medesimo Ufficio e finalizzata alla sua elaborazione: tanto, in ragione dei termini estremamente brevi, come si vedrà, in cui è possibile avanzare istanza d’accesso all’istituto.
Per ciò che concerne i presupposti oggettivi e soggettivi il legislatore ha previsto che: la richiesta si riferisca a un reato punito con la pena pecuniaria, con la pena detentiva fino a quattro anni ovvero a un reato che rientra fra quelli previsti dall’art. 550 c.p.p. di competenza del tribunale monocratico con citazione diretta a giudizio.
Nella prassi si è subito posto il problema di individuare i criteri per definire il perimetro della sanzione penale che rende ammissibile la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato: in particolare, ci si è chiesti se si dovesse o meno far ricorso ai criteri di determinazione della pena specificati all’art. 4 c.p.p. in materia di individuazione della competenza, che prevedono debba tenersi conto della pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato e non tenersi conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze, fatta eccezione delle aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa e di quelle ad effetto speciale. Ed è chiaro che l’accesso all’una o all’altra soluzione è stato idoneo a restringere e, rispettivamente, ad ampliare l’ambito di operatività dell’istituto. L’incidenza pratica della soluzione adottata ha reso urgente un intervento nomofilattico determinando la remissione della questione alla alle Sezioni Unite. Il Supremo Consesso (Cass., SS.UU., 31/03/2016, dep. 01/09/2016, Sorcinelli) aderendo all’orientamento che ha optato per l’estensione dell’ambito applicativo della messa alla prova, ha statuito che, anche in ragione del mancato riferimento da parte della lettera della legge agli accidentalia delicti, ai fini della individuazione dei reati per i quali è ammessa la sospensione del procedimento con messa alla prova, occorre avere riguardo esclusivamente alla pena edittale massima prevista per la fattispecie base, prescindendo dalla contestazione delle circostanze aggravanti, ivi comprese quelle per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.
Quanto ai presupposti soggettivi occorre che la domanda provenga da chi non sia stato dichiarato delinquente o contravventore abituale, professionale o per tendenza, da colui al quale non sia stata già concessa e poi revocata, ovvero da colui al quale non sia stata concessa con esito negativo: ipotesi, tutte queste considerate, cui è sottesa, rispettivamente, in radice (per i tipi di delinquente) o nel caso concreto (per la revoca e l’esito negativo) una valutazione di immeritevolezza delle opportunità offerte con l’accesso originario o ulteriore all’istituto. Fra i presupposti soggettivi non è contemplata, unitamente alle tipologia di delinquenza qualificata enunciate, la recidiva né è previsto che l’interessato per accedere all’istituto debba ammettere le proprie responsabilità. La richiesta di ammissione alla sospensione del processo con messa alla prova può essere avanzata non solo dopo l’esercizio dell’azione penale, ma anche prima, a tal fine prevedendosi che lo stesso pubblico ministero, ove ne ricorrano i presupposti, dia avviso all’indagato in ordine alla possibilità di accedere all’istituto in questione.
Nel corso delle indagini preliminari, la richiesta deve essere presentata alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari il quale deve trasmetterla al pm per il parere. E’ ragionevole, tuttavia, ipotizzare in via di prassi un deposito contestuale della richiesta alla segreteria del pm, che di fatto detiene il fascicolo, anche al fine di consentire l’emissione del parere nel termine di cinque giorni: termine, quest’ultimo, di natura ordinatoria e come tale non stigmatizzabile nel caso di inerzia. Qualora il parere sia positivo, il pubblico ministero deve trasmettere il fascicolo unitamente alla formulazione dell’imputazione al giudice affinché fissi l’udienza in camera di consiglio e ne dia avviso alle parti e alla persona offesa che ha diritto di essere citata e sentita, pena la possibilità di esperire ricorso per cassazione. Dopo l’esercizio dell’azione penale la richiesta deve essere presentata: nel rito ordinario, entro le conclusioni in sede di udienza preliminare; nel rito direttissimo e nel procedimento con citazione diretta a giudizio, sino all’apertura del dibattimento; nel procedimento per decreto, con l’atto di opposizione; nel giudizio immediato, entro 15 giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato. Una volta presentata l’istanza corredata dal programma di trattamento, o dalla richiesta inoltrata all’Uepe e finalizzata alla sua elaborazione, il giudice procede alla valutazione nel corso della stessa udienza (salvo rinvio in attesa dell’elaborazione del programma) ovvero in un’udienza camerale della quale deve essere dato avviso alle parti e alla persona offesa per garantire il contraddittorio. Il giudice, che può disporre la comparizione dell’interessato per verificare la volontarietà della richiesta, deve valutare che sussistano i requisiti formali e le condizioni di applicabilità; che non risulti dagli atti la sussistenza di una causa di proscioglimento, nel qual caso deve emettere sentenza ex art. 129 c.p.p.; che il programma predisposto sia sufficientemente individualizzato e, come tale, idoneo con riguardo all’entità del fatto e alla capacità a delinquere del soggetto ex art. 133 c.p.; infine, che il soggetto non commetta ulteriori reati nel periodo di prova. Ai fini della valutazione il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo a sua disposizione nella fase del processo in cui si trova, ciò che viene prodotto dall’interessato, ciò che viene raccolto e offerto dall’Ufficio esecuzione penale esterna nel corso delle indagini socio familiari e delle relative valutazioni, nonché i risultati degli accertamenti eventualmente disposti d’ufficio. Qualora ritenga che non ricorrano i presupposti emette un’ordinanza reiettiva che è ritenuta impugnabile unitamente alla sentenza. Qualora invece ritenga che ricorrano tutti i presupposti, emette un’ordinanza ammissiva, che viene iscritta nel casellario giudiziale ai sensi dell’art. 3, lett. I-bis), con la quale dispone la sospensione del processo per un periodo che non può essere superiore a un anno quando si tratti di reati puniti con pena pecuniaria, due anni quando si tratti di reati puniti con pena detentiva.